Detenzione intellettuale
Questo blog, indubbiamente (visto il titolo), parla di Proprietà Intellettuale.
Magari in una forma meno elitaria o in senso lato scientifica, ma pur sempre "Proprietà Intellettuale". Tutto ciò soprattutto per una convenzione linguistica perché, anche se fatico a farmi ascoltare dai miei più illustri colleghi su questo punto, intimamente sono convinto che questa particolare branca del diritto semplicemente non dovrebbe né potrebbe chiamarsi così.
Facciamo un passo indietro, soprattutto a beneficio dei lettori di passaggio: oggi viene definito come "Proprietà Intellettuale" quel ramo del diritto che si occupa della protezione giuridica dei cosiddetti "beni immateriali", ovvero dei prodotti della creatività e dell'inventività umana che si estrinsecano in soluzioni tecniche, estetiche, distintive, ecc., ma che in quanto tali non sono altro che "idee", cioè essenzialmente beni privi di fisicità.
Scolasticamente si insegna che il brevetto tutela una soluzione ad un problema tecnico, oppure che il diritto d'autore protegge la forma espressiva di un'opera dell'ingegno di carattere creativo. In entrambi i casi, tuttavia, l'oggetto della tutela giuridica non è un bene materiale, ma il cosiddetto "corpus mistycum", ovvero quella componente innovativa o creativa che rende un bene materiale qualunque ("corpus mechanicum") particolarmente pregiato o diverso dagli altri.
Ebbene, elemento caratterizzante di tutti gli istituti della Proprietà Intellettuale è una sorta di "patto sociale" tra l'inventore/autore e la collettività, in forza del quale al primo è garantito un periodo esclusivo di sfruttamento della propria invenzione/opera (come premio ed incentivo per l'attività indubbiamente meritoria) ed alla seconda viene data totale ed incondizionata disponibilità della creazione stessa, allo scadere del citato periodo. E' quello che in un
post precedente ho definito con il brocardo latino "do ut des": ti concedo una cosa, affinché tu in cambio mi dia un'altra cosa. Questo patto sociale garantisce l'equilibrio del sistema, in quanto gli inventori/autori sanno di poter contare su un periodo durante il quale potranno commercializzare i prodotti del loro ingegno in regime di monopolio legale, mentre la collettività potrà, pur con un "leggero" ritardo, giovarsi dell'attività privata per il bene pubblico.
Se questo è vero, ed almeno da un punto di vista teorico
deve esserlo, allora la definizione di "Proprietà Intellettuale" non può che apparire da subito impropria, perché qualunque inventore/autore non è mai veramente proprietario della "sua" creazione, ma nel momento stesso in cui accetta il "patto sociale", se ne spoglia a favore della collettività, pur mantenendone esclusiva disponibilità per un periodo necessariamente determinato. Non quindi "Proprietà Intellettuale", ma propriamente "Detenzione Intellettuale".
A mio modesto avviso, il grande "problema" comunicativo dei "detentori" (!) dei diritti di PI è proprio questo: essi sovente si dimenticano di essere tali e si comportano da veri "proprietari", palesemente andando contro il "patto sociale". L'utilizzo costante dell'espressione "Proprietà Intellettuale" ha finito con il far dimenticare alla collettività il bene pubblico che discenderà dall'iniziativa privata, creando posizioni ideologiche contrapposte, dove i "titolari" ed i "fruitori" sembrano destinati a non mischiarsi mai. Un "problema" che ha anche un corrispettivo nei consumatori stessi, dimentichi del fatto che senza il "patto sociale" molte invenzioni/opere non sarebbero state create ed spesso incapaci loro stessi di rispettare il lavoro creativo altrui.
Che ne pensate?
Etichette: autori, detentori, detenzione intellettuale, inventori
Mondo e Paese
Come si dice: tutto il mondo è paese!
Che ci si trovi in Cina (spero di andarci presto, non fosse altro per il fatto che uno dei miei più cari amici si trasferisce il mese prossimo ad Hong Kong), in India (ci sono stato due volte) o in Egitto (dove è stata scattata questa foto, giusto la settimana scorsa), ecco immancabile la sfilata di prodotti contraffatti, pronti per essere offerti all'ignaro (?) turista.
Tra i marchi più gettonati: Chanel, Louis Vuitton, Dolce & Gabbana, Nike, Puma, Adidas.
Non andiamo meglio nemmeno sul fronte del diritto d'autore... In una settimana di vacanza non ho visto nemmeno un CD originale! E questo vale anche per la musica usata dall'animazione italiana...
Etichette: contraffazione, Egitto
P2P ed equo compenso: mari e Monti
Leggo sempre con interesse gli articoli dell'avvocato
Andrea Monti.
Lo conosco molto bene professionalmente, avendolo seguito dai tempi di
Alcei e per tutte le successive evoluzioni (
ICT Lex soprattutto), e molto meno bene personalmente (ci siamo incrociati più di una volta... ma sono sicuro che per strada non mi riconoscerebbe).
Mi piacciono soprattutto i suoi contributi su PC Professionale, mensile con il quale collabora da molti anni.
Ecco il punto: sul più recente numero di PC Professionale (n. 192 di Marzo 2007), Monti commenta con la solita chiarezza la sentenza della n. 149/07 della III sez. Penale della Corte di Cassazione, salita agli onori delle cronache per essere stata oggetto di clamorose sviste interpretative e di
piccoli incidenti di percorso anche ad opera di noti colleghi. A chiusura del pezzo, tuttavia, propone una visione a mio avviso eccessivamente ampia della disciplina della "copia privata", arrivando ad includervi anche il download (solo il download, senza condivisione!) da internet a scopo privato di materiali protetti dal diritto d'autore.
La tesi di Monti è più o meno questa (l'avvocato mi perdoni la semplificazione): visto che esiste una previsione come il 71-sexies LdA che legittima la riproduzione privata di fonogrammi o videogrammi e visto che la legge prevede comunque una forma di "equo compenso" per i detentori dei diritti, qualora una persona fisica scaricasse *senza condividere* musica o film per uso esclusivamente personale e li masterizzasse su supporti per i quali è stato pagato l'equo compenso, allora non sarebbe nemmeno applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'articolo 174-ter LdA.
Molto modestamente, non sono d'accordo.
Premesso che, come sapranno quei pochi che hanno avuto la ventura di leggere i miei interventi in materia (specie,
questo), sono uno strenuo difensore del diritto alla copia privata e rimarrò sempre critico nei confronti del silenzio intorno a questo istituto e dell'ambigua comunicazione contro la pirateria, credo tuttavia che l'articolo 71-sexies ponga limiti ben precisi, i quali non possono essere interpretati con eccessiva elasticità.
In particolare, l'articolo di legge parla di "
riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto". Ora, nonostante la terminologia un po' arcaica, "fonogrammi e videogrammi" non possono essere accomunati
tout-court alle "opere dell'ingegno", avendo in questo contesto il significato di (rispettivamente) "supporti per veicolare opere musicali e opere cinematografiche". L'ipotesi considerata è quindi quella del lecito possesso da parte di un privato di un CD originale o un DVD originale (o supporti analoghi): nel caso del download, invece, da un lato, non esisterebbe una "riproduzione di fonogrammi o videogrammi" (almeno se non vogliamo estendere il significato, fino a ricomprendervi anche i file mp3 o simili) e, soprattutto, dall'altro lato detto accesso non sarebbe "legittimo", perché in un sistema di condivisione nessuno può legittimamente mettere le proprie opere a disposizione di terzi.
In internet, l'unica ipotesi nella quale un soggetto metta a disposizione di terzi materiali coperti dal diritto d'autore per il loro scaricamento è quella nella quale detto soggetto abbia l'autorizzazione del titolare dei diritti. In questo caso, tuttavia, siamo al di fuori della previsione ex articolo 71-sexies, la quale come noto è invece un'eccezione alla regola generale che subordina ogni atto di riproduzione dell'opera al consenso dell'autore o titolare.
Concludo dicendo che l'interpretazione dell'avv. Monti è espressamente definita dall'autore stesso come un'opinione personale "
non ancora collaudata in giudizio", a conferma dell'onestà intellettuale e dell'assenza di principi univoci in materia.
Etichette: Andrea Monti, copia privata, equo compenso, P2P
Là su Marte (o l'Assumm'Arte)
A volte fare l'avvocato è un gran casino. Sì, perché contrariamente a quanto mi ero immaginato da bambino guardando
Perry Mason, non sempre "il tuo assistito" è un innocente ingiustamente accusato ed è quindi un piacere (oltre che un dovere professionale) difenderlo, come si dice, a spada tratta.
A volte, come dicevo, ti tocca un po' convincerti di stare veramente dicendo una cosa "giusta". Tanto che rimango spesso piacevolmente stupito dell'abilità con la quale alcuni colleghi sono in grado di sostenere tesi quantomeno "impopolari".
Prendiamo ad esempio l'intervista a Giorgio Assumma, presidente della SIAE del dopo-commissariamento, pubblicata
qui. Sinceramente, trovo quasi "artistica" l'abilità con la quale l'avvocato riesce a dribblare le domande dell'intervistatore, fornendo risposte formalmente e giuridicamente corrette ma, ad un tempo, sostanzialmente e logicamente inaccettabili per il consumatore medio.
Per una volta, quindi, provo a spogliarmi dei panni del professionista che si occupa di Proprietà Intellettuale e tento di rispondere "da consumatore informato" a quanto affermato da Assumma: «Chiamare tassa l’equo compenso è un errore gravissimo».
Sarà anche un errore terminologico gravissimo. Ma la sostanza è quella: l'equo compenso colpisce direttamente i consumatori di "
supporti di registrazione vergini, analogici e digitali, dedicati (audio e video) e non dedicati comunque idonei alla registrazione di fonogrammi e videogrammi" (vedi
qui). Quello che infastidisce "noi consumatori" è che la Direttiva 2001/29/CE, prima, ed il Decreto Legislativo n. 68 del 2003, poi, mettono in strettissima correlazione l'equo compenso, la copia privata e le cosiddette "
misure tecnologiche di protezione efficaci" (articolo 102-quater LdA). Il ragionamento del Legislatore Comunitario è più o meno questo:
- come Unione Europea, riteniamo che il diritto d'autore debba essere protetto massimamente, ma che debba anche essere favorita una qualche forma di libera fruizione delle opere ad uso strettamente personale;
- pensiamo quindi sia "equo" consentire alle persone fisiche di farsi una copia ad uso personale dei supporti contenenti musica o film dei quali entrano legittimamente in possesso, a patto che venga pagato un altrettanto "equo" compenso ai titolari dei diritti;
- consideriamo legittimo, ed anzi proteggiamo con adeguate sanzioni atti elusivi, che i titolari proteggano i supporti con "misure tecnologiche di protezione efficaci". Tuttavia, "il livello dell'equo compenso deve tener pienamente conto della misura in cui ci si avvale delle misure tecnologiche di protezione contemplate dalla presente direttiva. In talune situazioni, allorché il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo, non può sussistere alcun obbligo di pagamento" ("considerando" 35 della Direttiva 2001/29/CE).
A questo punto qualcosa, per me "consumatore medio" smette di quadrare perché quando acquisto un CD musicale o un film in DVD trovo sempre "
misure tecnologiche di protezione efficaci" che mi impediscono di esercitare il diritto alla copia privata che giustifica l'"equo compenso" e quando acquisto CD o DVD vergini per il backup dei dati, per le foto di mia figlia, per i filmini delle vacanze, pago sempre e comunque l'"equo compenso".
Quindi, delle due l'una:
- o non (mi) mettete le "misure tecnologiche di protezione efficaci", in modo che io possa effettuare legittimamente una riproduzione privata ex articolo 71-sexies LdA, pagando il dovuto sotto forma di "equo compenso"
- o non eliminate detto "equo compenso", perché non si capisce più cosa vada a compensare, vista l'ubiquità dei sistemi di protezione.
Ricordo infine che l'"equo compenso" non è una tassa contro la pirateria. Non lo è mai stato e non può giustificarsi in questo modo.
NOTE: chi fosse interessato all'approfondimento della tutela giuridica dei sistemi di protezione e gestione dei contenuti digitali (meglio conosciuti come DRM), può cercare un articolo del sottoscritto e dell'avv. Marco Scialdone, apparso sulla rivista RDEGNT (Anno II, n. 1), dal titolo "I sistemi di Digital Rights Management: limitazione od opportunità?". Nell'articolo provavo a sollevare un interrogativo non irrilevante: visto che il principio alla base del diritto d'autore è quello del
do-tu-des, in forza del quale l'autore viene premiato con un monopolio legale in cambio del fatto che, alla scadenza del termine di sfruttamento esclusivo, l'opera entri in regime di pubblico dominio, che ne sarà allora di tutte quelle opere protette oggi da misure anticopia? Siamo forse di fronte ad un "contratto sociale" (il citato
do-ut-des), nel quale una parte è dichiaratamente e fin da subito inadempiente (
do-ut-teneas)? :-)
Etichette: copia privata, copyright, equo compenso, Giorgio Assumma, siae
Benvenuti
Come si inizia un blog? Ammetto di non essere propriamente un frequentatore accanito... anche se naturalmente mi è capitato di imbattermi in quello di amici desiderosi di mostrare le foto dei propri pargoli o di colleghi grafomani.
Siccome il sottoscritto, probabilmente, appartiene ad entrambe le categorie, ecco che inevitabile viene compiuto il passo: apro il mio blog!
Una delle prime ma ferree regole che ho imparato sui blog è: "se non hai niente da dire, non dire niente" (da leggersi nel senso: non aumentare la già affollata blogosfera con porzioni maxi di inutilità).
Ebbene, per tanto tempo non ho avuto molto altro da dire rispetto a quanto già pubblicato su libri, siti, guide, eccetera. Adesso però voglio provarci: un commento al mondo della Proprietà Intellettuale (diritto d'autore, marchi, brevetti, design, nomi a dominio) "diverso" da quelli piuttosto ingessati che mi si richiedono abitualmente. Insomma, io ci provo... poi ditemi voi se la cosa è interessante o sono solo l'ennesimo produttore di entropia.
Ah, dimenticavo: benvenuti!